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Ri-Presentazione dell'High Flyin di The Rob in Town

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2023 10:26
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16/05/2023 06:11
 
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HIGH FLYIN 81 - IL VECCHIO E IL WRESTLING

A cura di The Rob In Town 79

A volte ho l’impressione che si parli sempre delle stesse cose, delle stesse dicotomie: wrestlers giovani e wrestlers vecchi, TNA e WWE, big men vecchio stampo e cruiser moderni. E ogni giorno di più mi sembra che siano discorsi inutili, che non arrivano alla reale essenza del wrestling. Così mi guardo intorno e vedo che in America ci sono stati i Golden Globe, ora si decidono le candidature agli Oscar, e ci sono stati anche gli AVN Awards (:D…). Così ragiono su ciò che dicono attori ed attrici italiani e di Hollywood, che non esistono più ruoli interessanti all’interno di storie cinematografiche per chi ha superato gli “anta”, ma solo per chi è giovane o giovanissimo. Il wrestling da’ il meglio di sé stesso quando propone storie cinematografiche, ma qui, paradossalmente, le migliori sono proprio per chi ha superato gli “anta”. Ci sono storie per Undertaker, per Shawn Michaels, per Triple H, e c’è soprattutto una grande storia per “the oldest man in the business”…

IL VECCHIO E IL WRESTLING

“La tragedia della vecchiaia non è di essere già vecchi, ma di essere ancora giovani”, Oscar Wilde.

Ho tanti difetti, ma quello che più di tutti mi viene riconosciuto all’unanimità è la mia proverbiale pigrizia. Vivo mio malgrado all’insegna del “non fare domani ciò che puoi fare dopodomani”, vorrei tanto cambiare ma è più forte di me essere così. In campo wrestling però è l’esatto contrario. In TNA non sopporto i feud troppo lunghi (non sono gli anni ’80 con uno show ogni quattro mesi, ora c’è un PPV ogni mese) e in WWE non sopporto l’estrema lentezza di un qualsivoglia ricambio generazionale nelle zone alte. Io sono sempre stato dell’idea che se uno è bravo è bravo, indipendentemente da variabili che considero risibili come età, peso fisico o peso politico.

Come dico sempre, una volta che hai superato una certa età vieni considerato una leggenda a prescindere, tutto il tuo passato si colora di tonalità pastello e agli occhi dei fans, che magari nemmeno ti consideravano, diventi automaticamente “cool”. Questo succede per un Ron Simmons qualunque, figuriamoci quando nel tuo passato ci sono svariati titoli mondiali, main event a Starrcade e Wrestlemania, il tutto diluito in venticinque anni di strepitosi successi.

Flair infatti si ritira, e il ritiro dalle scene di un tale nome non può che essere festeggiato con una grande storia. E’ giusto. E’ soprattutto rispettoso. Anche perché Flair da’ l’impressione di essere uno che quando annuncia il ritiro si ritira su serio, non come Foley o Funk che hanno festeggiato già svariate volte il loro ritiro. La storia la conoscete tutti: non appena Flair perderà un match, sarà costretto a ritirarsi. Ha già superato l’ostacolo Orton (un campione del mondo che non vince un match a Raw dal 15 ottobre), ha superato fortunosamente l’esame Triple H, ha superato Regal e domenica prossima si troverà contro MVP, affamato di vittorie importanti per lanciare la propria carriera.

Ric Flair nella sua carriera ha rappresentato tante cose, ma spesso al suo nome è stata associata la Alternativa alla WWE. Quando la WWE divenne globale, la NWA rispose rendendo Flair un main eventer a vita, ma presto anche Ric fu richiamato dall’odore dei soldi dei McMahon e arrivò a Stamford. Nel ’91 pareva realizzarsi un sogno, un incontro tra Flair e Hogan, le due più grandi Icone del wrestling, ma le politiche di backstage non resero possibile niente di tutto ciò, e ben presto Flair ebbe nostalgia di casa e tornò indietro sui suoi passi, sulla strada che riportava ad Atlanta. Uno stint breve quello in WWF, un anno e poco più, ma impreziosito da due titoli di campione del mondo e da una storica Royal Rumble vinta. E tornato in NWA, ora chiamata WCW, fu assoluto protagonista di tutti i momenti più significativi della federazione, tanto che quando questa chiuse scelse proprio Ric per raccontare al pubblico la propria storia.

Ricordo come fosse ieri quando Flair tornò in WWE nella sua Charlotte il giorno dopo le Survivor Series 2001. C’era qualche voce, d’altronde la fine della storyline dell’Invasion e la location del Raw post Survivor Series qualche sospetto lo davano, ma vedere comparire Flair fu incredibile, in due secondi si ridiede linfa (e che linfa!) a una storyline che col tempo era diventata scontata e stucchevole. La lotta con Vince come lotta figurata tra WWE e WCW fu potenzialmente una bella idea, ma come tutte le belle idee partorite durante l’Invasion fu proseguita malissimo, come peggio onestamente non si sarebbe potuto.

Il direttore di questo sito da tempo porta avanti la sua idea di un match tra Vince McMahon e Ric Flair a Wrestlemania come degna fine della carriera di Flair, confidando sul fatto che pochi dei fan del 2002 siano ancora fan ora. Io personalmente nutro grossi dubbi su tale ipotesi, sarebbe sensato per la storyline ma c’entrerebbe poco con la carriera di Ric e, soprattutto, saprebbe molto di “minestra riscaldata” (anche perché, a differenza del direttore, non credo siano cambiati così tanto i fan dal 2002 ad oggi).
Però io penso ad altro. Flair dopo aver passato i suoi primi mesi a mettere paura ad un suo coetaneo manco fossero Jack Lemmon e Walter Matthau (i lettori più giovani si staranno chiedendo chi mai siano questi due: no, non sono due wrestler) e a venire massacrato dal peggior Taker mai visto in WWF/E, ha visto la sua carriera essere improvvisamente rivitalizzata dall’incontro con un wrestler, di cui negli anni era stato l’inconsapevole idolo massimo. Il nome di questo wrestler era Triple H.

Dovete sapere che ora Flair viene fatto passare come un modello di professionalità, ma la realtà è che molto del suo successo il Nature Boy lo deve alla sua vita sregolata, quasi da rockstar. I Four Horsemen, una stable basata sulla concezione che Flair aveva della vita e che portava quindi sullo schermo: “jet flyin’ etc, etc …” non sono solo parole, è ciò che Ric era davvero. Ogni sera una festa, champagne, lusso, donne. Una vita vissuta al massimo, che ha portato Ric a coronare il sogno di una vita che ogni uomo, non nascondiamocelo, gli invidia, ma che lo ha portato anche ad avere ovvi problemi economici (il lusso costa, tautologico ma vero).

Flair è furbo. Io non dubito affatto che la sua amicizia con Triple H sia sincera (caratterialmente sono molto simili), ma credo altrettanto sicuro che Flair abbia capito che fare da mentore al più potente uomo della WWE potesse venirgli utile. E da questa alleanza ne sono usciti ottimi frutti: Flair ricreò anche in WWE i Four Horsemen, togliendosi però dal ruolo di capo per “retrocedere” a quello di mentore, e così facendo prese due rookie poco considerati e con Triple H in un anno o poco più li fece diventare due main eventer. Orton e Batista devono TUTTO a Flair e Triple H. Per quello io vedo sempre più probabile per Wrestlemania un fatal four way tra i quattro ex membri dell’Evolution: antichi dissapori, nuovi scenari, la presente superiorità e il ruolo da top player. In un incontro come questo ci sarebbe davvero tutto in palio: passato, futuro e presente. It’s evolution, baby.

Flair stesso ha sentore dell’opportunità di chiudere in grande stile e da’ l’impressione di volerla sfruttare fino in fondo: se fino a ieri sembrava solo un vecchio cinquantasettenne bravo solo a dare chop, nelle ultime settimane sento in lui il vecchio campione: la sua abilità al microfono è sempre stata indiscussa, ma come succede per tutti, è condizionata dagli stati di forma. E in questo Flair è tornato. D’altronde tra il combattere con Kenny Dykstra o Carlito e l’essere protagonista di una poderosa storyline interbrand c’è una bella differenza, chi non si lascerebbe condizionare?

Certo, si può discutere se sia giusto dare un ruolo di così grande rilievo a un uomo come Flair che ha sì un passato leggendario ma un presente fatto di sciatica e chop. Ma Flair lo conosciamo, è quello a cui Foley disse “you stepped on my dreams”, e Triple H è quello a cui, a ragione o a torto, si imputano i successi o gli insuccessi di mezzo roster WWE.

Ma la storia di Flair coinvolge il pubblico, ed è questo l’importante. Il coraggio e la tenacia dell’uomo di fronte al tempo che scorre, la sfida crudele, ma fondata sulla lealtà e sul rispetto, vista nell’ultimo Raw dell’anno passato con Triple H. La lotta di Flair contro la vecchiaia che lo affligge e l’affiorare di dubbi su se stesso e sulle proprie forze, nella sua quotidiana lotta contro le avversità che il Fato McMahon gli mette contro.

Questa storia l’avrà anche scritta un booker WWE, ma sembra presa pari pari da un romanzo di Hemingway. L’illusione dell’ultimo bagliore di gioventù come ricompensa per la sua ultima battaglia, che inevitabilmente lo porterà però a una inesorabile e forse immeritata sconfitta. Questo sì che è wrestling, qua sì si scrivono storie.

Concludo, come sempre, ricordandovi che se avete la bontà di condividere qualcosa di divertente, interessante o anche solo di curioso da comunicarmi e/o avete qualche curiosità da chiedere sarò più che lieto di dialogare con voi al mio indirizzo di posta elettronica, rob@wrestling4ever.it . Rassicurandovi che la letteratura americana è terminata, perciò per vostra fortuna non andrò a parare sulle avventure vissute a Cuba nei prossimi numeri…:-)

Stay Tuned. Rob.
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