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Ri-Presentazione dell'High Flyin di The Rob in Town

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2023 10:26
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01/05/2023 08:53
 
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HIGH FLYIN 78 - PER CHI SUONA LA CAMPANA

A cura di The Rob In Town 79

La settimana prossima usciranno sul sito i consueti awards di fine anno, e come ogni dicembre mi interessa sempre sapere cosa ne pensano i colleghi e amici dell’anno trascorso, nonché i lettori, coi quali ultimamente si parla spesso di quello. E spulciando i risultati parziali e le opinioni maggioritarie, non ho potuto fare a meno di notare due cose: di una parlerò settimana prossima, e secondo me si tratta di qualcosa di rivoluzionario accaduto quest’anno, mentre dell’altra parlo oggi in questo numero. Io non so voi, ma spesso a me succede di ricordare un anno di wrestling anche solo per un match, una singola emozione. Io quest’anno come personale match dell’anno ho un match senza stipulazione speciale, come non mi accadeva dal lontanissimo 1999 (già otto anni, come passa il tempo), e ho visto che nelle variopinte scelte per il Gimmick Match of the Year spicca su tutte un’unica stipulazione: quest’anno per emozionare il pubblico si è dunque dovuto far crollare l’avversario…

PER CHI SUONA LA CAMPANA

“Cadi sette volte, rialzati otto”, Proverbio cinese

Quattro lunghi conteggi di dieci. Quattro “ten!” esclamati dall’arbitro seguiti dall’inequivocabile gesto che lo stesso fa con la mano ad intimare l’addetto alla campana a sancire la fine dell’ostilità. Quattro emozioni fortissime (negative, positive, a seconda del tifo e a seconda del vincitore) suscitate nel pubblico. Quattro ricordi che resteranno indelebili in questo lungo 2007 che sta per concludersi. E soprattutto, ciò che più conta per un appassionato smart di wrestling, oggettivamente quattro grandissimi match. Chiamatelo Last Man Standing come fa la WWE, o chiamatelo Texas Death Match come fa la TNA (in fondo la differenza sta solo in un antecedente, necessario o meno, schienamento al tre), ma associato all’anno solare in terminandi, si risolve in un’unica locuzione: gran match!

E dire che il primo dei quattro match non si presentava benissimo: contro c’erano i due wrestler al tempo più odiati dal wrestling web, che proprio in quell’occasione spinsero il pubblico a cambiare opinione verso di loro. Il campione a un cambiamento del comportamento dei “bambini da web” nei suoi confronti: da disistima e voglia di vederlo senza titolo, a stima e voglia di vederlo senza titolo. Sembra poco, ma in realtà è stata una rivoluzione copernicana, probabilmente il primo e più importante step compiuto quest’anno dal campione di Boston nel cammino che lo porterà, inconfutabilmente, nella Leggenda. Lo Sfidante invece convinse il pubblico di essere un Lottatore, e che lottatore! Venendo prima di un Royal Rumble match che per forza di cose verrà ricordato negli anni, vista la bellezza delle fasi conclusive e l’epico scontro raccontato negli ultimi dieci anni, era difficile non sfigurare. E invece in quella domenica di fine gennaio John Cena e Umaga diedero vita a un match intenso come nessuno si sarebbe mai potuto aspettare.

Cena che con rabbia prende le corde e sottomette Umaga che, più che cedere, quasi sviene, è scena da antologia del wrestling, tanto che il pubblico, per la prima volta dal passaggio di Cena a Raw, esultò per una sua vittoria come si confà ad un top face in un big four. Lì Umaga dimostrò inequivocabilmente le sue immense doti di agilità (ricordo alcune mosse eseguite fuori ring da sembrare wrestler con almeno quaranta chili di meno), e lì Cena confermò, dopo il TLC con Edge, le sue ottime doti da storyteller anche senza un wrestler “celebre” accanto.

Ma non era finita qua. Dopo l’apprezzatissimo match tra Undertaker e Batista combattuto a Wrestlemania, la WWE decise di proseguire il feud tra i due top face di Smackdown! proprio con un Last Man Standing match. Anche qui vi erano delle perplessità, visto che pareva che Batista fosse in condizioni fisiche precarie e soprattutto visto che Undertaker, come trapelò poche ore prima del match, si era infortunato abbastanza seriamente. E tra l’altro il feud dopo Wrestlemania aveva subito un drastico calo. Invece i due confermarono di avere un’ottima chimica sul ring e tirarono fuori un altro “classico”.

Anche qui, di tanti spot uno svetta su tutti: lo splendido spot finale, con la spear di Batista a far concludere il match con un bump terrificante che costringe il match al pareggio. Si è tanto discusso della opportunità o meno di aver scelto il match di Raw come main event di Wrestlemania, ma secondo me il vero match a meritare il main event di un PPV è stato proprio questo, con i due contendenti a terra stremati, annientatisi vicendevolmente. Una scena epica, da tragedia greca senza vincitori né vinti.

Ma se Stamford ride, anche Orlando non piange (lo so, non era proprio così, ma vabbè...). Dello split degli America’s Most Wanted si sono dette tante cose, sia l’anno scorso che quest’anno. C’è chi dice fosse prematuro, c’è chi dice fosse impossibile procrastinarlo, c’è chi dice che gli split funzionino e c’è chi dice che non funzionino. Questo poi era stato uno split curioso. L’heel che diventato singolo diventa imbattibile, e il face che infortunato si lecca le ferite a casa comparendo solo con promo in cui mostrava espressioni tristi (più che il Wildcat, pareva Chris Harristing). Ma se la preparazione del feud era stata stupenda, il primo confronto deluse, un blindfold match che annoiò la platea. Così il match di cui parliamo non era così atteso, ma invece venne fuori stupendo.

L’undercard che va in paradiso, un match non solo non main event, ma neanche preventivabile come showstealer, che invece si propone prepotentemente e senza timori come MOTY. Intanto l’inizio, col Wildcat che entra strappandosi la t-shirt degli America’s Most Wanted, decretando così simbolicamente lo strappo definitivo col passato e tagliando i legami della gran coppia che furono, per proseguire con una prestazione sopra le righe che ha ricordato al vecchio aficionado le battaglie tra RVD e Jerry Lynn nella vecchia ECW, per finire con lo scambio infruttuoso di finisher nel finale, e, come azzeccatissimo spot finale, una bottigliata decisiva per il conto di dieci. Così come una bottigliata in testa diede inizio al feud, così una bottigliata in testa lo chiuse. Simul stabunt, simul cadent.

Cinque mesi, tre match pazzeschi. Sicuramente un’inflazione di una stipulazione speciale normalmente rara e particolare, ma molti di questi discorsi spariscono davanti all’ottima realizzazione degli stessi. Le stipulazioni speciali sono come le spezie: se usate in maniera eccessiva (ma non eccessiva in quantità, eccessiva per quel particolare cibo) rovinano un buon piatto, ma se usate per dare più sapore al piatto specifico, lo rendono semplicemente più gustoso e indimenticabile al palato.

Così quando la WWE decise di concludere il suo feud principale dell’anno, scelse ancora una volta questa come stipulazione, confidando e sperando nell’antico motto del “non c’è il due senza il tre”. Randy Orton e John Cena, questi erano i Prescelti. Ma, come sappiamo, il Trionfatore del primo Last Man Standing Match dell’anno ha dovuto abdicare al suo trono nella settimana precedente al PPV designato, così la WWE decise di ricostruire in quattro e quattr’otto una storyline che giustificasse ugualmente la proposizione di tale tipo di incontro, e a Cena sostituì il suo Top Player: Triple H.

E qui il match ebbe un significato diverso dagli altri: non è stato tanto il match in sé a essere un Top Match, quanto il fatto che concludesse quella particolare serata, regalando al main event di Raw che nei tempi antecedenti era sembrata persa. Un Orton sul confine tra Trionfo tanto atteso e Caduta inesorabile, trovava la forza per connettere la decisiva RKO su un Triple H stremato dalla tripla battaglia e cogliere così l’importante successo. Purtroppo però il Destino (ma perché quando si parla di Orton si finisce inesorabilmente a parlare del destino?) aveva altri piani: colui che iniziò così un regno da Cinico Cecchino in pochi giorni sarebbe stato trasformato in Portatore di Cintura, ma questa è un’altra storia, già affrontata sette giorni fa.

Molto è successo a questi otto wrestler dopo aver combattuto da campioni veri quali sono questi quattro match. Ma nulla di quanto hanno fatto quest’anno a mio parere (e, vedendo le opinioni di colleghi e lettori) può eguagliare quanto hanno fatto in quei quattro singoli match. Le emozioni regalate ai fan quando l’arbitro ha contato il dieci e ha guardato verso l’addetto alla campanella per dargli il segno della fine del match. Lo sconfitto non in grado di rialzarsi che, stremato, si consola con la consapevolezza di aver disputato un gran match. E il vincitore che, rimasto in piedi dimostrando così la propria superiorità, si bea del trionfo e raccoglie la meritatissima gloria.

E, parafrasando quel che disse tanti anni fa un “collega” infinitamente più bravo di me a scrivere, giunti a quel momento, il momento della Gloria con la G maiuscola, in quel momento non sei più da solo, non sei un semplice lottatore ma sei strettamente connesso al pubblico dell’arena: “allora non chiedere per chi suona la campana; la campana suona per te”.

Concludo, come sempre, ricordandovi che se avete la bontà di condividere qualcosa di divertente, interessante o anche solo di curioso da comunicarmi e/o avete qualche curiosità da chiedere, o volete confrontarvi con me sui momenti, i wrestler, i match che più hanno caratterizzato questo 2007, sarò più che lieto di dialogare con voi al mio indirizzo di posta elettronica, rob@wrestling4ever.it.

Stay Tuned. Rob.
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