00 06/12/2019 14:46

Caro Dago, tra i giornalisti che di mestiere passano le loro giornate a Montecitorio, a tu per tu con la classe politica che ha in mano le sorti del Paese, il mio amico Fabrizio Roncone è tra i più aguzzi.



Ecco quel che ha scritto di recente: “Noi cronisti politici, a Montecitorio e a Palazzo Madama, siamo ormai costretti a muoverci sempre più spesso tra parlamentari semianalfabeti e mitomani, furbacchioni spregiudicati e potenziali disoccupati aggrappati alla poltrona”. Più chiaro di così si muore. Detto altrimenti: i semianalfabeti hanno conquistato la prima linea addirittura nel Parlamento italiano, o forse lì più che altrove.




Ovvero la prevalenza del semianalfabeta, l’erede odierno del “cretino” la cui “prevalenza” Carlo Fruttero e Franco Lucentini avevano additato trent’anni fa. E del resto è passata per i giornali, sia pure l’istante di un mattino, la notizia (il dato statistico) che uno studente italiano su quattro non capisce quello che sta leggendo. Una questione, quella della prevalenza del semianalfabeta, che in termini emergenziali è per l’Italia odierna forse ancora più drammatica che non la caduta del Ponte Morandi, e lo dico con infinito rispetto per quei morti innocenti.



Che Paese è quello in cui il 70 percento dei nostri cittadini non è in grado di intendere l’editoriale di prima pagina di un quotidiano? Che valore ha nella nostra democrazia l’espressione “prima gli italiani” dato che la più parte di quegli “italiani” non sa di che cosa si sta parlando, quale sia la portata reale e i dati significativi dei problemi della nostra economia e della nostra società?



Cosa che non faccio mai perché sono rituali perfettamente inutili, ho accettato ieri pomeriggio di presentare un mio libro in un locale pubblico. C’erano 30-40 persone, neppure poche in una città dove ci sono diecimila cose più interessanti da fare che non assistere alla chiacchiera a proposito di un libro, ossia dell’oggetto che è divenuto il meno desiato al mondo. Grandissimo mio imbarazzo. Non sapevo che dire e come dirlo dato che glielo leggevo in faccia a queste brave persone che il nome, che so?, di Aldo Moro o di Ugo La Malfa non diceva nulla di nulla.







Che narrazione puoi pronunciare innanzi a un pubblico che non sa niente di niente della storia italiana di questo ultimo mezzo secolo? A un certo punto l’amico che mi ospitava mi ha fatto un domanda su Sciascia, uno i cui libri nei miei vent’anni stavano nell’aria che respiravo. Ho balbettato qualcosa, ad esempio la volta che uno mi aveva querelato perché avevo definito “una mascalzonata intellettuale” un suo lunghissimo papello su “Repubblica” dove dava del “vigliacco” a Sciascia per come lui scriveva della mafia siciliana.



Le facce degli astanti restavano del tutto impassibili. Fossi rimasto muto alla domanda su Sciascia, sarebbe stata perfettamente la stessa cosa. Nel pomeriggio mi era arrivato un sms dal mio caro Ruggero, che fa il medico nelle Marche e che è un eccellente lettore di libri. Mi raccontava che era entrato in libreria a chiedere quali libri di Sciascia avessero. Seduta al computer, la commessa gli ha chiesto come si scrivesse il nome Sciascia. E lui ha replicato che aveva perfettamente ragione a chiederlo trattandosi di uno scrittore straniero. Semianalfabeti, abbiate pietà di noi.