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Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia





Caro Dago, vedo che da più parti si accenna a una sorta di risorgente “antisemitismo” italiano di cui sarebbe un sintomo lampante la monnezza riversata quotidianamente via Internet su Liliana Segre. E’ un’affermazione che non ha né capo né coda. In Italia l’antisemitismo non è mai esistito, voglio dire come sentimento profondo e diffuso in larghi strati della popolazione. Non è mai esistito neppure al tempo delle nefande leggi razziali, a un tempo in cui la predicazione razziale vera e propria era appannaggio di un personaggio miserando quale Giovanni Preziosi e di un paio di fogliacci abietti pagati dal Duce che per motivi di politica internazionale voleva stringere vieppiù i legami con Adolf Hitler.





E del resto era impossibile che l’antisemitismo attecchisse in un Paese dove gli ebrei erano sì e no 45mila (in Polonia erano tre milioni e mezzo). Nella orrida giornata del 16 ottobre 1943, quando i nazi rastrellarono tutta Roma a caccia di ebrei, il loro obiettivo era la cattura di 10-11mila ebrei. Ne presero 1200 e questo innanzitutto perché la popolazione romana li protesse tutte le volte che poté, e ne esistono testimonianze a migliaia Il comandante militare del rastrellamento, Herbert Kappler, scrisse a Berlino che l’azione aveva avuto un esito fallimentare: che la gran parte della popolazione, ivi compresi i fascisti, erano stati dalla parte degli ebrei.






Così come è un fatto che durante la Seconda guerra mondiale, i soldati italiani a Marsiglia protessero i nazi che stavano braccando gli ebrei. Lo racconta benissimo una storica americana, Suzan Zuccotti, in un libro di molti anni fa.





Il vero antisemitismo è tutt’altra cosa, ha tutt’altre radici, ha esponenti di tutt’altro spicco. Basta guardare alla Francia nostra cugina dove, caso Dreyfus a parte, l’antisemitismo è stata una vena costante della più alta cultura francese e di cui trovi le tracce dappertutto, persino in un vecchio libro di un personaggio quale Georges Bernanos o magari nei diari di André Gide, e senza dire scrittori dell’importanza di Louis-Ferdinand Céline o Lucien Rebatet.





Trenta o più anni fa comprai un atroce librino, Le péril juif, firmato da uno scrittore francese che amo molto, Marcel Jouhandeau. Se lo leggeste capireste che cos’è l’antisemitismo. Il libro era stato pubblicato poco prima che scoppiasse la Seconda guerra mondiale e che a Parigi arrivassero da trionfatori i nazi e si mettessero a loro volta a cacciare gli ebrei che non avevano la cittadinanza francese. A quel punto Jouhandeau, che era una brava persona, chiese al suo editore di ritirare il libro dalla vendita. Quando mai e dove mai sono stati in Italia i Céline, i Rebatet, i Jouhandeau, gli editorialisti dell’ “Action française”? Sarebbero questi che sputano fiele ora su Liliana Segre ora su Gad Lerner? Ma non diciamo sciocchezze.




Gli odiatori di cui è questione sono semplicemente la feccia della società, in un momento della storia degli uomini in cui questa feccia sta crescendo di entità e di aggressività, un momento in cui occupa una latitudine sempre maggiore della comunicazione diffusa. E’ sempre esistita questa feccia, solo che nel buio delle sue stanzette ha oggi a disposizione un’arma prepotente, il poter cliccare sui tasti dell’odio, del rancore sociale, dell’invidia professionale, del cannibalismo ideologico.




Ci sono quelli che odiano la Segre e quelli che odiano Salvini, altrettanto feccia. Sono quelli incapaci di un ragionamento, di perlustrare le vie a zig zag percorse dall’umanità, di usare il fioretto e il present’arm anziché l’ascia da macellaio. Li vedi e ne senti l’olezzo dappertutto, non ultimi i set televisivi che tutti noi frequentiamo. La feccia e basta. Altro che Jouhandeau e Charles Maurras. L’antisemitismo di inizio secolo è stato purtroppo una cosa seria oltre che sommamente tragica. C’entra niente con i clic miserandi di chi sa solo eruttare a tutto spiano il veleno che ha in corpo.

Giampiero Mughini