Sgarbi ripropone i miei stessi esempi
11 province come zone rosse. Quello che abbiamo patito in 8 mila Comuni si poteva limitarlo a 400, 200. Questo avrebbe comunque limitato chi, per esempio, si muove da Brescia a Sutri, ma quello che si muove da Sutri, se non ha il virus, dove deve portarlo? C’è qualcosa di assurdo che io per primo ho indicato, e quindi si capirà che dove c’è una situazione particolarmente difficile è lì che si deve intervenire. Non è che se c’è un terremoto ad Amatrice io tratto allo stesso modo Ostuni. Io se fossi stato al governo avrei trattato il virus come un terremoto, indicando gli epicentri e indicando i rischi dagli sconfinamenti dagli epicentri.
Quella di estendere a tutta Italia le stesse norme è la stessa situazione per cui l’Europa si è di fatto dichiarata inesistente quando l’Italia all’inizio ha avuto uno slancio molto forte di morti e di contagi in Lombardia. Questa crescita esponenziale ha indotto gli altri Paesi a chiudere i confini come se si potesse bloccare il virus, mentre poi si è visto che non era così, i focolai erano altrove, probabilmente determinati dalla presenza di malati dalla Cina. Il che vuol dire che bisognava lavorare con la ragione sull’incremento del virus, che ha la sua origine in Cina. Mentre a un certo punto sembrava che fosse l’Italia che avesse esportato il virus in Cina, con il paradosso che l’Italia era diventata il Paese untore per eccellenza e l’Europa ci ha chiuso i confini. Tutte cose che sono legate non a una sottovalutazione, come qualcuno attribuiva a me o come spesso è stata nell’alternanza di pareri dei virologi, ma a una mancanza di scienza statistica, cioè al tema della diffusione del contagio. Questa è stata l’indagine mancante, attribuibile a un matematico, a un fisico, a uno scienziato statistico: qualcuno che ci dicesse che se su 174 Comuni del Lazio non c’è il virus, e allora non posso applicare le stesse misure che ho applicato a Codogno. Ma non perchè io voglia tesaurizzare il vantaggio, ma per capire perchè non è capitato qui come è capitato là, e allora isolare i lombardi, non isolare i laziali. Questo i cittadini lo capiranno, e mi daranno ragione. Ricorda quella famosa notte del 6 marzo in cui è uscita la bozza del decreto e sono partiti i famosi 20 mila dalla stazione di Milano, che sono stati criminalizzati come pericolosi untori? Queste 20 mila persone, che certo sono un numero limitato, andando in meridione non hanno in alcun modo diffuso il contagio. Abbiamo loro attribuito una responsabilità possibile, ma era solo possibile: qualcuno ha fatto male i conti. Questi sono andati a casa loro, dove dovevano andare? Erano migranti. Prendiamo un cameriere di Canosa che lavora a Milano, con il ristorante chiuso indefinitivamente: cosa doveva fare, come faceva a mantenersi rimanendo in un luogo che non gli dava più lavoro? Il rischio antropologico e anche razzistico del migrante di ritorno che si porta dietro il virus è un’altra falsità di un mondo di teste confuse.